Una delle caratteristiche delle Arti Marziali è di usare una nomenclatura esotica. Non solo perché solitamente si usano i termini nelle lingue orientali originali ma anche perché la loro traduzione evoca spesso immagini fantasiose.
E, si sa, la fervida immaginazione del praticante medio, si accende quando sente parlare di “tecniche segrete”. Mediamente uno si vede già come il sessantaseiesimo successore della Divina Scuola di Hokuto, mentre esegue una tecnica al Dojo, con tanto di fermo-immagine nel momento topico, sottotitoli in Giapponese e voce fuori campo che proclama con dizione perfetta: “ten chi nage – proiezione cielo terra”.
Una famiglia di tecniche (waza) che solletica particolarmente la fantasia è kasumi waza (霞技), le tecniche della nebbia.
E già qui uno si immagina i ninja che lanciano pozioni magiche per creare una cortina fumogena densa e sparire.
Poi si spegne la TV, si torna alla realtà e si inizia a vedere che l’annebbiamento dell’avversario è trasversale alle varie discipline.
Nel Ju-jutsu, i colpi (atemi) dati alle tempie sono appunto descritti come kasumi.
Nel Ninjutsu sono studiate delle guardie appositamente ideate per lanciare verso il volto dell’avversario oggetti con lo scopo di colpire, stordire e sferrare l’attacco definitivo (si pensi all’attacco con la catena e la falce, il kusari gama)
Nel Judo si trova il katate kasumi, un rapido movimento in controrotazione della mano per distogliere l’avversario e successivamente proiettarlo a terra.
E nell’Aikido?
L’Aikido non nasce dal nulla ma da quel miscelatore esperienziale in cui Morihei Ueshiba (ma anche molti se non tutti tra i suoi allievi diretti) hanno fatto sintesi degli insegnamenti fin lì trasmessi nelle varie arti di combattimento.
Termini vecchi per semantiche nuove? Probabilmente sì.
Certamente lo stordimento (lesivo) ottenuto con la percussione alle tempie o comunque al volto, è qualcosa che l’Aikido ha abbandonato, trasformando i colpi percussivi, gli atemi da strumento di offesa a strumento di controllo delle distanze nella coppia, dei reciproci assi e quindi dell’equilibrio.
Nello studio delle armi, che nella prospettiva originale dell’Aikido è quantitativamente e qualitativamente importante tanto quanto lo studio a mani nude, il concetto di kasumi ha probabilmente mantenuto vivi quegli accorgimenti strategici, al limite del maniacale, che erano tipici degli uomini d’armi giapponesi.
La guardia della spada con le braccia estese ma rilassate che punta l’asse ottico dell’avversario per non fornire indicazioni precise sulla lunghezza dell’arma…
Il coltello impugnato e nascosto parzialmente sotto l’avambraccio, con la lama disposta in modo tale da sfruttare il ritorno di un attacco andato a vuoto…
Il rinfodero del bastone coperto dalla propria sagoma, sempre per non fornire informazioni su lunghezza e posizione…
L’hakama che cela la posizione flessa delle gambe e l’ubicazione dei piedi…
Questi sono alcuni degli elementi in cui si percepisce traccia dell’antica preoccupazione di non lasciare nulla al caso.
(Dopodiché uno incontra sul proprio cammino maestri come Daniel Toutain, cresciuto nel solco di Morihiro Saito, che ti dice più o meno così: “Guarda che il tuo avversario sa già che hai un bastone, il rinfodero serve per caricare le anche e colpire con potenza, non per nascondere”…)
A noi quindi che cosa serve sapere che esistevano (ed esistono) le “tecniche della nebbia”?
Può darsi, soprattutto in questo periodo di forte pressione mediatica, di stress emotivi, fisici e materiali, che ci faccia bene ricordare che in un conflitto l’avversario è lì per vincere e sottomettere. E una delle vie maestre è confondere, annebbiare i sensi e soffocare la lucidità di chi ha di fronte.
Se poi l’aggredito, per primo, si confonde da solo, perdendo la propria stabilità, respirazione, lucidità, il gioco diventa facile.
La sorpresa, l’inganno, lo stordimento: sapere che l’avversario dispone di queste tecniche è già un buon antidoto per non cadere vittime delle sue illusioni.
Per questo la pratica, edulcorata quanto vogliamo, di esercizi semplici (la guardia di una spada, il rinfodero di un bastone) in realtà diventa un piccolo ma potente antidoto per quel tipo di attacchi che sono tanto più pericolosi quanto più sono sferrati lontano dal Dojo.
Uno sfottò degli ultras delle squadre ospiti negli stadi o nei palazzetti del nord è: “Solo la nebbia, avete solo la nebbia, solo la neeeeeebbiaaaaaa”. A volte c’è saggezza anche in esternazioni dal quoziente intellettivo inferiore a quello di un cetriolo: se sappiamo che una situazione di oggettiva crisi è potenziata dalle nostre paure e da quelle indotte. Che l’attacco è amplificato da certa comunicazione e distorto da certe reazioni. Che basta un virus per smascherare una debolezza strutturale e infrastrutturale che evidentemente c’era anche prima…Allora probabilmente è proprio vero che è solo nebbia.
E che occorre avere un piccolo “cuore di cielo puro” per ricordarsi che il cielo limpido è lì poco oltre questa cortina.
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